Eucharist Miracle Eucharist Miracles

Omelia del 9 Marzo 2007

I Lettura: Gen 37,3-4.12-13.17-28; Salmo 104; Vangelo: Mt 21,33-43.45

Forse vi siete accorti che, per un istante, ero sovrappensiero, non ero distratto, ma solo più assorto del solito, perché ho sentito in modo forte, reale, al mio fianco, la presenza delle numerose persone che ci hanno sempre dato aiuto, incoraggiamento, sostegno e amore.

Ora faremo insieme una riflessione che mi ha accompagnato durante questa giornata. L’essere umano è una realtà composta da un’anima e un corpo, quindi in noi sono presenti due vite: una spirituale ed una naturale. Una persona si realizza solo se in sé sono presenti entrambe le vite e l’augurio è che siano sempre due perché, con la morte spirituale, l’uomo è come se fosse diviso e scisso in se stesso. Questa è la bruttezza del peccato che distrugge l’essere umano, perché ne uccide la realtà più importante, quella spirituale.

La vita naturale ha determinati connotati: ciascuno di noi è caratterizzato da un nome, da una storia familiare e dall’appartenenza ad una comunità, uno Stato. La vita spirituale invece si alimenta dell’Eucaristia ed ha un rapporto trinitario, quindi i connotati della vita spirituale sono due: la realtà eucaristica e quella trinitaria.

L’anima senza l’Eucaristia, che è fonte di grazia, non cresce, non può testimoniare a Dio la sua fedeltà ed il suo amore e non può avere con Dio quel rapporto che il Creatore desidera avere con ogni creatura.

L’Eucaristia è anche una realtà che unisce ogni essere umano ai propri fratelli e in questa unione non c’è differenza di ruoli gerarchici ma di responsabilità. Davanti a Dio, quindi, un semplice fedele, un’anima consacrata, un sacerdote, un vescovo o lo stesso Papa, sono diversi, in quanto Dio li chiama a vivere missioni differenti e non perché occupano una posizione diversa nella gerarchia ecclesiastica.

L’Eucaristia realizza l’uomo nella sua realtà più intima e spirituale. Oggi abbiamo un motivo in più per cantare il “Te Deum” di ringraziamento al Signore. Gli uomini della Chiesa hanno cercato di ridurre l’Eucaristia, azione e presenza reale di Dio, ad un semplice memoriale distante secoli. Tutto ciò avrebbe portato gradualmente l’uomo ad un tale distacco da Dio, origine della vita, da non riuscire più neanche a dialogare con Lui. Dio è intervenuto e ha fatto in modo che la vitalità che deriva dall’Eucaristia non venisse tolta, eliminata, ma fosse restituita con maggior generosità ed amore da parte di Dio.

Noi cristiani abbiamo una vita spirituale perché siamo eucaristici. L’espressione “donna eucaristica”, attribuita alla Madonna e presente nella famosa enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia, non è piaciuta assolutamente a Dio, perché non è adatta a Lei e non indica il rapporto con l’Eucaristia. Noi invece, nei riguardi dell’Eucaristia, possiamo dire: “L’uomo dell’Eucaristia, il giovane dell’Eucaristia, il bambino dell’Eucaristia, il sacerdote dell’Eucaristia e il Vescovo dell’Eucaristia”. Anche la mia stessa ordinazione sacerdotale prima, ed episcopale dopo, non avrebbe spessore e vitalità se non fosse inserita, piantata nell’Eucaristia; grazie ad essa ho ricevuto quella forza che è servita a me e che ho trasmesso a voi.

Posso fare mie le parole di San Paolo: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.” (1 Cor 11,1), quindi se nell’essere spirituale di un’anima è presente l’Eucaristia, allora c’è la vita, la grazia e l’amore. Così l’uomo è in grado di rispondere a Dio e di iniziare con Lui un rapporto, un dialogo, una relazione trinitaria ed eucaristica.

Noi, sin da bambini, siamo stati educati a rivolgerci a Cristo e così i Sacramenti, la preghiera, la parola del Vangelo avevano una finalità che si esauriva strettamente nel rapporto con Cristo. Invece dobbiamo avere un rapporto vivo con tutta la Trinità, non solo con Dio Figlio, ma anche con Dio Padre e Dio Spirito Santo. Ecco, questo è un altro motivo per gridare il nostro “Te Deum”. Grazie alla nostra fedeltà a Dio, ai messaggi che Lui ci ha dato, ai dialoghi che ha permesso che il Vescovo e la Veggente avessero con Lui, nella Chiesa abbiamo lanciato un nuovo seme, che ci porta a scoprire l’Amore di Dio Padre.

Fino a poco tempo fa, nelle nostre preghiere, Dio Padre era presente in modo modesto e scarso. Le Chiese dedicate a Gesù, ai suoi misteri e ai suoi titoli, sono molto più numerose di quelle dedicate a Dio Padre, vi è una sproporzione enorme, immensa e non giustificabile. Dio Padre è la fonte della divinità, Dio Padre genera il Figlio e da Dio Padre procede lo Spirito Santo. Nelle poche occasioni in cui ci rivolgevamo a Dio o ne sentivamo parlare, ci veniva presentato come inaccessibile e lontano. Ci rivolgevamo a Lui con timore e con una riverenza mista a paura, ma il Signore non vuole ciò, per questo si è manifestato per ciò che Egli è. Dovete sapere che Dio Padre in Paradiso scherza, gioca con le anime e anche con i presenti. Siete meravigliati di questo? È la verità. Solo chi è stato in Paradiso e ha sperimentato queste realtà può testimoniare l’autenticità di tutto questo, gli altri debbono tacere e ascoltare. Dio è il Papà che viene incontro ai figli, che gioisce. A volte li può anche rimproverare, ma ci ama di un amore alto e incomprensibile.

Il nostro rapporto deve essere trinitario: se Cristo è presente, è presente anche il Padre e non dimentichiamo la Terza Persona, lo Spirito Santo, probabilmente il più trascurato. Senza la Sua potenza non esiste l’Eucaristia, solo per la potenza dello Spirito Santo il mistero eucaristico è presente, attuale in ogni minuto, in ogni secolo, in ogni momento della Storia della Chiesa. La grazia, la remissione dei peccati, ci viene elargita per l’effusione dello Spirito Santo, il quale ci rende forti testimoni della verità, desiderosi di difenderla e di testimoniarla. Non dobbiamo dimenticare la Trinità!

Non esiste vero cristianesimo, né vera vita cristiana o un’autentica vita spirituale se non abbiamo un rapporto continuo e insistente con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. Questi tre misteri, queste tre realtà non sono in contraddizione tra di loro, ma addirittura si amalgamano fino a diventare la stessa realtà. La nostra mamma e maestra, la Madre dell’Eucaristia, ci ha insegnato, sorprendendo anche i teologi, che nell’Eucaristia c’è la presenza reale di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. Da questa sera vorrei un miglioramento: quando preghiamo insieme eleviamo la nostra mente, la nostra fede e il nostro amore a Dio Padre, a Dio Figlio e a Dio Spirito Santo; anche il segno della Croce deve ricordarci questo.

Quando entriamo in una Chiesa e ci inginocchiamo di fronte al tabernacolo, nel cui interno è presente l’Eucaristia, noi ci inginocchiamo di fronte a Dio Padre, a Dio Figlio e a Dio Spirito Santo; così anche quando riceviamo l’Eucaristia, in noi entra la Santissima Trinità. Per questa ragione non ci può essere vera vita cristiana e un’autentica vita spirituale, se non è presente in noi l’Eucaristia e la Trinità. Questo concetto non è stato mai detto, né insegnato, ma è giunto il momento di regalare alla Chiesa anche questa verità che era già presente, ma non ancora scoperta. Era necessario che qualcuno togliesse il velo che la ricopriva per offrirla ai fedeli ed a tutto il popolo cristiano.

Noi non possiamo prescindere dall’Eucaristia, non possiamo trascurare la Santissima Trinità. Essa è presente e operante in noi, questa è una certezza da conservare, custodire gelosamente e offrire agli altri.

Quanti motivi ci sono oggi per ringraziare Dio! Quante grazie Egli ci ha dato, quanto bene abbiamo fatto! E allora, quando lo stesso Dio Papà si rivolge a noi e ci dice: “Grazie per tutto quello che avete fatto per la Chiesa”, con umiltà ma con sincerità, dobbiamo essere coscienti e dire: “Sì, grandi cose abbiamo compiuto perché Tu, Signore, ci hai chiamato a farle, e ci hai dato la grazia di farle”. Dobbiamo essere riconoscenti per tutto ciò verso Dio e sinceri con noi stessi.

La Chiesa sta cambiando: come un campo di grano ha bisogno di essere arato, il vomere tirato dai buoi deve aprire i solchi. In questo momento, mi sento come un bue, e lo dico con rispetto, proprio perché nel campo di Dio ho lavorato per scavare questi solchi, nei quali abbiamo gettato il seme che ha già prodotto alcune piante rigogliose. In questo campo, che rappresenta la Chiesa, cresceranno nuove piante altrettanto forti e floride. Dio è geloso del suo campo, lo difende e lo protegge.

È arrivato anche il momento, e spero che questo si realizzi presto, in cui i pastori infedeli, i mercenari, verranno sconfessati e denunciati. Questo è un altro compito che Dio ha riservato alla nostra comunità, al Vescovo e alla Veggente della nostra comunità.

I pastori dovranno assomigliare al Cristo buon pastore come è scritto nel Vangelo di Giovanni: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv. 10,11). Ogni sacerdote o vescovo deve essere il buon pastore per le anime che Dio gli ha affidato.

Gesù ha detto: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv. 10,9) ed è per mezzo del sacerdote, del vescovo, buon pastore, che le anime devono entrare nell’ovile dove troveranno calore, protezione e il cibo necessario per alimentarsi e per crescere.

Ecco abbiamo tanti motivi per innalzare a Dio questo “Te Deum”, che è iniziato la sera dell’8 marzo 1963, quando, nella penombra della cappella dedicata alla Madonna, con il titolo “Madonna della fiducia”; ho pregato intensamente Dio affinché, grazie all’intercessione di Maria, mettesse nel mio cuore un amore grande verso l’Eucaristia e una fedeltà assoluta alla Sua Parola.

Dopo quarantaquattro anni di sacerdozio credo di poter dire: “Sì, Signore, Ti sono stato fedele, Ti ho amato nell’Eucaristia, ho creduto nel mistero trinitario, Ti ho fatto conoscere e amare, presentando la Tua Parola ai miei fratelli. Sono stato il buon pastore per tutte le anime che Dio mi ha affidato”. Voglio dire e cantare questo inno di ringraziamento a Dio, insieme a voi che mi siete stati vicini negli anni più duri, dolorosi e tremendi di questo Sacerdozio e di questi primi nove anni di Episcopato.

Quanti anni di Sacerdozio e di Episcopato dovrò ancora esercitare? Lo sa Dio, quello che conta è che ogni istante, piccolo o lungo che riguarda la mia storia, sia vissuto con lo stesso entusiasmo dei miei ventiquattro anni, quando, ai piedi dell’altare, prima di ricevere il Sacerdozio, ho consacrato a Te Dio Uno e Trino la mia vita.

A Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo realmente presenti nell’Eucaristia va la lode, l’onore e la gloria.

Amen.


Riflessione dopo l’apparizione del 9 marzo 2007

Oggi avete dedicato questa giornata al mio sacerdozio, al mio episcopato e vi ringrazio perché, pur avendo da Dio continuamente sostegno e aiuto, mai come in questo momento, sento la necessità di poter sempre contare, anche psicologicamente, sulla vostra partecipazione. Sentirsi soli nella lotta fa star male, ma poter condividere e sapere che ci sono tante persone, non soltanto voi in questo luogo, ma anche altre in tutto il mondo che pregano per il Vescovo ordinato da Dio, mi dà la forza di andare avanti. A volte è prepotente la tentazione di desistere perché prevale la fragilità umana, si sentono debolezza e stanchezza, soprattutto da un punto di vista fisico, naturale e risuonano le parole che Gesù disse agli apostoli: “Pregate per non cadere in tentazione, lo spirito è forte, la carne è debole”. Lo spirito è forte perché si alimenta e si sostiene con la forza di Dio, con la Sua potenza, come avvenuto durante il colloquio lungo e affettuoso con Dio Padre, un colloquio tra padre e figli. Sentivo il papà che parlava, nella mia mente scorrevano veloci le immagini di questi quarantaquattro anni e mi sono sorpreso, forse mai come oggi ho visto e ricordato tutto ciò che è stato compiuto, prima da solo e poi, da quando è iniziata la missione, con Marisa; abbiamo fatto veramente cose grandi, enormi, immense. Per la prima volta, quando mi sono soffermato a vedere la grandezza di ciò che è stato compiuto, ho pensato alle parole di Gesù: “Voi farete cose più grandi di Me”. Dio ha ribaltato la situazione nella quale si stava cercando di ridurre al silenzio l’Eucaristia e ha riportato nella Chiesa la centralità della fede, l’amore verso l’Eucaristia, la forza di lottare a viso aperto e senza indietreggiare di fronte alla prepotenza di alti personaggi che si sentivano, addirittura, onnipotenti. Dio ci ha dato la perseveranza di percorrere tutte le stazioni della Via Crucis, spero di essere arrivato all’ultima o almeno alla penultima, perché ne abbiamo percorse tante in questi trentasei anni di missione e ne ho percorse tante nei miei quarantaquattro di sacerdozio. La chiarezza e la lucidità con cui mi sono rivolto ai grandi uomini della Chiesa e della Terra, mi hanno fatto capire che Dio era totalmente dalla nostra parte. Come avrebbe potuto una semplice creatura avere questa perseveranza, questo coraggio, questa forza indomita che non è umana? Devo comunque ammettere che i momenti di debolezza sono tanti, ma sono necessari per non inorgoglirci anche perché, e di questo ne parlerò durante l’omelia, la rivelazione sulla paternità di Dio è un dono che il Signore fa alla Sua Chiesa attraverso due umili creature. Bisogna vedere le cose con gli occhi di Dio. La stessa realtà, la stessa persona può essere vista da Dio in un modo e dagli uomini in un altro. Dio dice a due creature: “Voi siete mie, Io vi ho scelto, voi siete i miei apostoli, i miei profeti, i santi che Io ho reso tali con la Mia grazia”. Invece gli uomini riguardo queste due creature dicono: “Voi siete ribelli, indocili, avete spaccato la Chiesa, siete la rovina della Chiesa”; chi ha questa responsabilità non sono io, ma un’altra persona: a buon intenditore poche parole.

Anche ciò che umanamente può essere detestabile, come la sofferenza, si può vedere ponendosi dalla parte degli uomini o dalla parte di Dio; stiamo parlando di un argomento delicato, difficile da trattare e soprattutto da comprendere, perché la sofferenza non si capisce mai. Possiamo sforzarci, ma è umano chiedersi quando finirà o il perché di tanta sofferenza e se non sia già stata sufficiente quella di Gesù Cristo. Ci si chiede perché gli uomini siano chiamati a bere con Lui questo calice, ma è Gesù stesso che ha detto ai due fratelli: “Potete bere il calice che Io sto per bere?” e loro hanno risposto: “Si, lo possiamo”. Allora diciamo anche noi: “Sì, possiamo bere questo calice”, ma vi posso assicurare, perché l’ho sperimentato, che il sangue di Gesù è dolce, è soave. Quando ci fu il grande miracolo dell’11 giugno 2000, ho consumato l’ostia da cui era fuoriuscito il sangue e ne ho sentito la dolcezza, la soavità, il profumo, mentre il sangue normalmente suscita un senso quasi di ribrezzo. Il sangue di Cristo che scorre per rendere il deserto fertile e rigoglioso è più che sufficiente, ma Egli vuole che il nostro sangue si unisca al Suo. Sapete come Dio riconosce e sa distinguere il sangue di Suo Figlio e il sangue di coloro che sono chiamati a collaborare alla passione con il Figlio? Dal colore! Il sangue di Gesù è più rosso, più vermiglio, più luminoso, più potente e coloro che offrono a Dio attraverso la sofferenza il proprio sangue hanno una gradualità di colori, di intensità e di profumo più tenue. Coloro che sono più vicini a Dio hanno il sangue più simile a quello del Cristo, quindi, c’è maggiore vicinanza. Il Signore ha parlato di questo sangue anche attraverso i segni: il sangue fuoruscito dall’ostia e le lacrimazioni della Madonna; il sangue di Maria è quello più identico, più somigliante e si confonde quasi con quello di Cristo e a coloro che si sono meravigliati di come mai dalla statua della Madonna fuoriuscisse un sangue che, esaminato, è risultato essere maschile, è perché quello è il sangue di Gesù. Il sangue di Gesù e il sangue della Madonna sono identici, è lo stesso sangue, poteva essere maschile o femminile, potete così capire il linguaggio del sangue per Dio. Dio chiama chi ama di più, chi offre il sangue più simile a quello di suo Figlio, Lui non si confonderà mai perché sa distinguere. È la somiglianza quella che conta e ripeto, il colore, la soavità, il profumo dipende dalla capacità di amare e dalla capacità di soffrire. In questo modo riusciamo a capire di più Dio. Questa mattina ci ha ripetuto spesso che è nostro papà, però chiede la sofferenza, chiede questo sangue, quasi ha implorato di concedere ancora del tempo in un momento così duro, così violento, così atroce, sotto alcuni aspetti, e noi glielo diamo, a volte con riluttanza, a volte con paura, però io ho sempre sperimentato che durante i colloqui con Dio mi sento più forte. Avviene come per i bambini che quando parlano con i genitori si sentono protetti, poi quando i genitori non ci sono perché lavorano o sono assenti per altri motivi si sentono quasi confusi, incerti; avremmo bisogno di una presenza continua di Dio per sentirci completamente a nostro agio, tranquilli e sicuri e vedere le cose come le vede Lui. La persona che, rispetto alla nostra comunità, al resto del mondo, a tutta la Chiesa ha il sangue più simile a quello di Cristo è la nostra sorella Marisa, che si sta consumando in una sofferenza continua. Ma Dio è papà e se non ci fosse un intervento continuo da parte di Dio, la sofferenza la porterebbe a situazioni ancora più atroci e più drammatiche. L’aiuto c’è, se non ci fosse saremmo disperati; neanche le cure umane, la clinica più attrezzata, la consulenza dei migliori professori potrebbero calmare queste sofferenze; ma la logica di Dio, che talvolta è diversa dalla nostra, ci mette in una situazione di confusione. Oggi è la festa del Vescovo che Lui ha ordinato e la vittima ha sofferto più degli altri giorni; è una sofferenza enorme. Oggi Dio ha detto che i benefici delle sofferenze di Marisa e, di riflesso, del Vescovo non andranno più a favore dei sacerdoti ed è una decisione drammatica: chi non si è convertito non ha più la possibilità di convertirsi e, purtroppo. per costoro ci sarà l’Inferno. Possono essere potenti, possono essere personaggi di cui parlano giornali e televisione ma se non sono di Dio per loro non c’è più possibilità: è tremendo questo. Dio ha pazientato tanto, ma ora ha detto basta! Soprattutto i grandi uomini possono continuare ancora a fare il buono e il cattivo tempo, a distribuire gioie e a infliggere sofferenze ma pagheranno tutto nel giudizio di Dio e dopo la loro morte non ci sarà più per loro possibilità di cambiare, di convertirsi. Fanno riunioni, congressi, seminari, studi, celebrazioni, riuniscono persone, ma mai gli ammalati, i poveri, i carcerati, gli afflitti hanno partecipato a queste riunioni, anche ecclesiastiche. La paternità di Dio, però, si rivolge verso gli ultimi, i piccoli, i deboli perché il Signore pensa a loro, dona il Suo aiuto e chiede ai buoni di pregare e di soffrire perché la situazione di queste persone possa cambiare. Io anticipo anche una vostra domanda: “Ma Dio ha bisogno di questo? Non può farlo di Sua iniziativa?” Lo fa anche di Sua iniziativa, ma il Suo rispetto è incomprensibile perché ci innalza alla dignità di essere suoi collaboratori, questa è la grandezza. Gli uomini si vantano di essere un collaboratore o una collaboratrice di un presidente, di un re, di un ministro, ma noi siamo collaboratori di Dio, ci avete mai pensato? Potete metterlo anche sul biglietto da visita e io ce lo metterò: collaboratore di Dio. Per questo Dio ci ama e ci rispetta e gli uomini non possono far nulla. Egli ha detto: “Io dò il giudizio e non mi interessa ciò che pensano gli uomini. Se Io, Dio, dico che due persone sono sante, anche se gli uomini la pensano diversamente a Me non interessa il loro giudizio, perché l’unico che vale è il Mio”. Umanamente parlando, nei mesi scorsi avevo pensato e sperato che avremmo celebrato questo 9 marzo in un clima diverso, anche perché avevo riletto e sentito determinate rivelazioni, ma da quando, pochi giorni fa, Marisa mi ha rivelato i suoi segreti che riguardano la Chiesa e il mondo ho detto: “Mio Dio, siamo arrivati tanto in basso?” Sono tremendi! Ma non riguardano le punizioni, per le tremende situazioni a cui l’uomo è arrivato c’è bisogno di purificazione, di redenzione. Questi segreti, di cui siamo a conoscenza, scarnificano e fanno sanguinare il nostro cuore; alcune persone dovrebbero essere messe nella situazione di non poter più nuocere. Non so se Dio vorrà che siano rivelati e conosciuti, ma vi auguro di non saperli mai. È vero, ho già detto diverse volte in questa circostanza che non si tratta più di pregare o di soffrire per i sacerdoti, ma questa sera non posso dimenticare coloro che sono stati ordinati con me nel lontano 1963, anche perché su alcuni di loro, come ha rivelato Dio Padre, il Signore ha dei disegni particolari. Allora, se non altro perché hanno in comune con me gli anni della formazione, del seminario, vi chiedo di pregare per questi sacerdoti ai quali ho indirizzato anche delle lettere e ho chiesto a Dio di dar loro luce sufficiente, soprattutto ai buoni, per capirle e accettarle. Capirle è facile, accettarle forse è meno facile, è molto più difficile, perciò vi chiedo preghiere per i miei compagni di seminario, anche perché, alcuni giorni fa, uno di essi è venuto a prelevare queste lettere e gli ho promesso che avrei fatto pregare per loro, quindi, voglio mantenere l’impegno. Dio Padre certamente non mi rimprovererà di ciò, sono suoi figli e questa S. Messa è un inno di ringraziamento a Dio, un Te Deum che inanella uno dopo l’altro quarantaquattro anni, dal 9 marzo del 1963 al 9 marzo del 2007. E’ un Te Deum lungo, che quasi non finisce mai e vorrei che, almeno spiritualmente, lo cantaste insieme a me. Non so se riuscite a trovarne una copia da qualche parte, ma se ci riusciste alla fine della celebrazione eucaristica io lo leggerò e voi lo ascolterete. Mi è venuto in mente adesso, non ho potuto preparare nulla prima. Ora vi ho parlato con il cuore in mano, tutto ciò che vi ho detto questa sera è uscito dal cuore, non ho avuto bisogno di riflettere su quanto avrei detto, vi ho parlato con amore, con il cuore e anche con una certa sofferenza. Oggi il Signore, Dio, mi ha fatto due regali: il colloquio con Lui e una lettera personale; sì, Dio mi ha scritto una lettera personale, e termino ripetendovi proprio un’espressione che il Signore mi ha donato: “Fa vedere ai tuoi figli che sei felice per me”. Questo è tutto.